Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è lo strumento di cui lo Stato italiano si è dotato per la gestione dei 191,5 miliardi di euro che l’Europa ha assegnato al nostro Paese nell’ambito del più ampio progetto di rilancio economico dedicato agli Stati membri (“Next Generation EU”), promosso al fine di riparare ai danni economici e sociali cagionati dall’emergenza sanitaria da “Covid-19” e contribuire, al contempo, a rendere le economie e le società dei Paesi europei più allineate all’esigenza di una sollecita transizione ecologica e digitale. Il Piano si articola in sei Missioni, con l’ambizioso obiettivo di rendere più efficiente e digitalizzata la p.a., di modernizzare le infrastrutture e i trasporti del nostro Paese, di arginare le fratture economiche da sempre presenti tra Nord e Sud, mirando così ad una maggiore coesione sociale e all’abbattimento delle discriminazioni, anche di natura generazionale, senza contare la necessità di potenziare la sanità pubblica, anche alla luce degli insegnamenti derivanti dall’ultimo evento pandemico. In tale contesto, il contributo chiesto alla giustizia amministrativa rileva sotto un duplice aspetto: il primo, afferente alla necessità dell’abbattimento dell’arretrato accumulato fino all’anno 2019, con l’obiettivo della riduzione del settanta percento delle cause pendenti presso i T.A.R. (109.029) e al Consiglio di Stato (24.010) entro il mese di giugno 2026. In secondo luogo, poi, il legislatore, con l’art. 12-bis del d.l. n. 68/2022, convertito con modificazioni dalla legge n. 108/2022, ha disposto una significativa accelerazione ai giudizi in materia di PNRR devoluti al g.a., al fine di assicurare la celere definizione di tali controversie ed evitare così che il protrarsi dei tempi processuali possa incidere in senso negativo sul tempestivo raggiungimento degli obiettivi delineati nel Piano. Il taglio delle tempistiche necessarie per la definizione delle controversie giurisdizionali, unitamente all’estensione di riti processuali speciali e accelerati a un sempre maggior numero di materie, tra cui quelle relative, da ultimo, ai finanziamenti PNRR, rappresentano delle scelte che vanno valutate con attenzione, per evitare che la spasmodica ricerca dell’accelerazione vada a detrimento della qualità delle decisioni, intaccata dall’eccessiva contrazione delle garanzie difensive delle parti e dei poteri di accertamento del giudice, con sentenze finali che, pur tempestive, non risponderebbero, comunque, alle esigenze di giustizia dei consociati. Certo è che la necessità di rispettare le tempistiche pattuite con l’Unione Europea per la messa a terra dei progetti contenuti nel PNRR, attese le ricadute di segno negativo sul nostro Paese che un tale inadempimento determinerebbe, ha contribuito ad esaltare il ruolo giocato dal “risultato” nell’ambito dell’azione amministrativa, confermando il trend ormai ascendente della domanda in tal senso rivolta dai privati ai pubblici poteri. Sul solco di questa visione si pone anche la nuova edizione del codice degli appalti appena varata che, invero, si apre con una norma che ha codificato in materia il principio del risultato, ergendolo a guisa di interesse pubblico primario. Sullo sfondo si colloca l’ormai storica contrapposizione tra due principi cardine dell’azione amministrativa: quello di legalità, da intendersi, in questo caso, quale rispetto delle norme poste a tutela della legittimità dei provvedimenti adottati dalla p.a., e quello del buon andamento, declinato nelle forme dell’efficienza, dell’economicità e, per l’appunto, dell’efficacia (o del risultato). Il dibattito accademico su quale dei due debba prevalere sull’altro non si è mai sopito, mentre nell’opinione pubblica e nel pensiero politico maggioritario, si registra un ormai diffuso favor nei confronti del secondo principio pocanzi richiamato, poggiante su una logica di fondo intesa ad imputare i fallimenti della p.a. ai rigidi parametri di legittimità che la stessa sarebbe costretta a rispettare nel suo agire quotidiano. La soluzione proposta? Una delle più in voga è quella di adottare modelli semplificati e derogatori di gestione che consentano alla p.a. di agire in un’ottica eminentemente economica di risultato, senza la necessità di rispettare le norme ordinarie vigenti (molteplici sono i richiami che gli organi di stampa effettuano al c.d. “modello Genova”, utilizzato per risolvere la questione del Ponte Morandi), obliterando le ragioni insuperabili per cui l’amministrazione pubblica, invece, è stata e deve continuare ad essere, soggetta al primato della legge (oltre che della Costituzione e, oggi, anche delle fonti promananti dell’ordinamento europeo). L’aspirazione a un’amministrazione efficiente ed efficace, in grado di porsi al servizio dei consociati per il soddisfacimento degli interessi della collettività, è senza dubbio legittima e rappresenta, così come indicato dallo stesso articolo 97 Cost., un obiettivo da perseguire con tenacia. Tuttavia, la ricerca del risultato “ad ogni costo” non può tenere in non cale l’altrettanto fondamentale esigenza che l’attività dell’amministrazione sia svolta entro i confini delineati dalla normativa a monte, costituendo essa, pur sempre, fonte di attribuzione del potere, vincolo di scopo e parametro di legittimità (e, dunque di validità) dell’agere amministrativo. Ecco che, dunque, più che nello svilire il principio di legalità, ovvero nel contrarre al limite tempi e garanzie processuali, forse le soluzioni andrebbero cercate altrove. Lasciando in disparte l’aspetto della non adeguata organizzazione dei pubblici uffici, considerato che uno degli obiettivi del PNRR è proprio quello di migliorarne struttura e funzionamento, ciò a cui si allude in questa sede è ad un cambio di approccio nell’affrontare la questione delle avvertite difficoltà della p.a. nel muoversi all’interno del quadro giuridico di riferimento, in merito alla quale va rammentato come la legittimità dell’azione amministrativa rappresenta pur sempre un baluardo indefettibile per il fisiologico funzionamento di uno Stato democratico, nel quale devono essere garantite adeguate forme di tutela agli interessi legittimi vantati dai privati nei confronti dell’azione della p.a. che, in assenza di tali regole, null’altro sarebbe se non l’espressione di un potere autoreferenziale e arbitrario, con buona pace delle situazioni giuridiche soggettive dei cittadini. E’ evidente che il quadro normativo nazionale sia ipertrofico e inadeguato. Invero, se ne discute da decenni in tutte le sedi e, peraltro, pare esserlo ancor più dopo la riforma costituzionale del 2001, con cui sono state ripartire le competenze legislative tra Stato e Regioni. Tuttavia, tale vulnus, lungi dal poter essere affrontato con normative in deroga o con eccessive contrazioni della tutela giurisdizionale, a parere di chi scrive andrebbe affrontato in maniera sistematica dal legislatore (rectius, dai vari legislatori), mediante un’opera di razionalizzazione intesa rendere le norme vigenti più snelle e, soprattutto, più intellegibili e coordinate tra loro, a giovamento tanto dei pubblici funzionari, nell’esercizio delle loro funzioni, quanto degli stessi giudici amministrativi, chiamati a risolvere le controversie tra pubblico poteri e cittadini in applicazione di tali norme, con evidenti benefici sia sulla fase amministrativa che su quella successiva, ed eventuale, di carattere giurisdizionale.

di Daniele Profili, magistrato amministrativo T.A.R. Catania