Il mondo della giustizia è stato e continuerà a essere tra i protagonisti principali di quella sfida che ha preso il nome di Piano nazionale di ripresa e resilienza. La giustizia civile e quella penale sono coinvolte sotto vari aspetti: l’obiettivo (ambiziosissimo) del Pnrr è quello di ridurre del 40% i tempi del processo civile, del 25 % quelli del processo penale ed eliminare la stragrande maggioranza dell’arretrato. Un’impresa titanica, alla quale l’Italia, sorvegliata speciale in Europa, non vuole e non può farsi trovare impreparata. Ben cinque le riforme, faticosamente portate a casa, che erano richieste per l’accesso ai fondi del Pnrr: con il disegno di legge sul processo penale è stato sfiorato l’incidente, con una norma cambiata in extremis prima che scadesse il tempo imposto dall’Ue. Un percorso meno tortuoso ha avuto la riforma del processo civile, mentre inferiore risonanza mediatica hanno avuto le non meno importanti riforme della giustizia tributaria e del quadro normativo in materia di insolvenza. La riforma della digitalizzazione, attesa anche prima del Pnrr nonché necessaria per la velocizzazione dei tempi della giustizia, dovrebbe aiutare a portare un mondo fatto di faldoni cartacei nel futuro. Un futuro il cui preludio è già presente tra noi. Non è ancora entrato nel vivo, infatti, il dibattito sull’alta tecnologia e l’intelligenza artificiale come ausilio all’attività giurisdizionale, ma in giro per l’Italia – da Brescia a Pisa, da Genova a Venezia – ci sono i primi esperimenti di applicazione di strumenti più o meno sofisticati dell’informatica all’attività di magistrati e utenti. E ci sono le prime richieste di attenzione, indirizzate a via Arenula, sul tema. Si tratta di un eventuale passo in avanti che forse spaventerà gli operatori meno avvezzi alla tecnologia ma, come ha spiegato bene il presidente della corte d’Appello di Brescia, Claudio Castelli, su HuffPost: “Piaccia o no, la tecnologia è uno strumento vincente, perché più comodo. Non si tratta, quindi, di dire “sì” o “no” all’intelligenza artificiale. Si tratta di scegliere se governarla o esserne governati”. Passa, quindi, da una buona riuscita del piano di digitalizzazione anche l’apertura verso nuovi strumenti, che dovranno essere integrati nel sistema delle garanzie del processo. C’è poi il tema che riguarda le risorse umane. “Con il Pnrr – si legge sul sito del ministero della Giustizia – è stato avviato un piano straordinario di reclutamento di personale amministrativo a tempo determinato di 19.719 unità, diretto a migliorare le prestazioni degli uffici giudiziari e a potenziare la struttura dell’Ufficio per il processo”. Rispetto a questi quasi 20mila posti, però, si pone il problema della precarietà. Si tratta, infatti, di contratti a termine che spesso non fanno gola ai candidati. I quali, il dato è riscontrabile andando a guardare ciò che accade nei vari uffici giudiziari, lasciano spesso l’incarico anzitempo perché vincitori di altri concorsi, a tempo indeterminato. La scadenza triennale dei contratti e la tendenza a preferire un posto più sicuro rischiano di produrre l’effetto opposto rispetto a quello sperato: il personale neoassunto viene formato, inizia a lavorare, ma dopo tre anni – sempre che non trovi un posto che reputa migliore prima – dovrà, allo stato, lasciare l’incarico. Con tutto ciò che ne consegue. Non giungono, al momento, dal ministero notizie che lascino trapelare l’intenzione di ovviare a questo problema. Di stabilizzare gli operatori dell’ufficio del processo e gli altri neoassunti per il Pnrr. La questione è tutt’altro che semplice da risolvere, perché prima di ogni altra cosa vanno trovate le risorse, ma i nodi prima o poi verranno al pettine. Ragionare di Pnrr in relazione alla giustizia amministrativa, invece, apre ancora un altro fronte. Perché i tribunali amministrativi saranno chiamati a dover giudicare le eventuali controversie che nasceranno durante la realizzazione delle opere previste dal piano. Aveva suscitato agitazione nel settore l’idea, a lungo sostenuta dal ministro Raffaele Fitto, di accentrare sul Tar del Lazio ogni ricorso relativo al Pnrr. Per il titolare degli Affari europei, la “competenza inderogabile” del tribunale amministrativo laziale sarebbe stata utile a uniformare le decisioni in materia e a velocizzare le procedure. La norma, però, è stata fermata a seguito della protesta congiunta dei magistrati e degli avvocati amministrativisti. Si erano opposti all’idea, si legge in una nota, “sia per l’ulteriore aggravio del carico del Tar centrale, che già gestisce un terzo del contenzioso amministrativo nazionale, sia per il consequenziale affievolimento della garanzia di territorialità del giudice amministrativo”. Le proteste e un surplus di riflessione hanno indotto il governo a retrocedere dall’intento. Tra qualche mese si capirà se e quanto il contenzioso amministrativo è aumentato in seguito al Pnrr. E potranno essere fatti i primi bilanci.
di Federica Olivo, giornalista Huffington Post