L’approvazione, da parte del Parlamento e del Consiglio Europeo, del Piano per la ripresa e la resilienza ha rappresentato una novità senza precedenti sia dal punto di vista della politica continentale che da quello delle regole europee di bilancio. Sotto il primo profilo, basti pensare alla portata innovativa costituita dall’approvazione di un piano straordinario di finanziamenti in favore degli Stati membri, produttivo di un debito comune europeo, che arriva dopo anni di rigorismo sulle politiche di bilancio e sugli aiuti di Stato. Indubbiamente, una simile svolta non ci sarebbe stata senza la tragedia del COVID – che, non dimentichiamolo, è una delle quattro crisi globali che abbiamo visto in soli venti anni (le torri gemelle e il successivo conflitto in Afghanistan e nel Golfo persico, la crisi finanziaria del 2008, il Covid e ora la guerra russo-ucraina) – né senza la consapevolezza delle possibili nuove emergenze globali che si profilano all’orizzonte (basti pensare alla crisi energetica o a quella ambientale). Proprio in ragione di questa sua carica innovativa (nonché della sua dimensione quantitativa: 750 miliardi di euro, contando anche le risorse del fondo c.d. REACT-EU), il PNRR è stato accompagnato da una profonda innovazione anche delle regole di gestione, basate non solo su una rigorosa rendicontazione contabile ma anche su una più attenta modalità di erogazione, collegata allo stato di avanzamento dei lavori. Per dirla con il linguaggio europeo, il cambiamento realizzato con il PNRR rispetto alla precedente gestione dei fondi comunitari consiste nell’essere passati da un meccanismo cost based ad uno, più moderno, performance based. Precedentemente, l’Europa procedeva all’erogazione anticipata delle risorse e poi si preoccupava di verificare il raggiungimento dei risultati attesi e, solo in via eventuale, dava corso ad una – spesso complicata e non sempre fruttuosa – fase di recupero dei fondi malamente utilizzati. Con il PNRR il meccanismo è del tutto diverso: ogni Paese ha concordato con la commissione l’entità delle risorse da ricevere (sia quelle a fondo perduto, sia quelle prese a prestito, seppure a tassi indubbiamente vantaggiosi), la loro destinazione nonché le tappe intermedie (c.d. milestones), il cui raggiungimento è condizione per l’erogazione dei successivi contributi. Infatti, tranne la prima tranches, le altre vengono erogate volta per volta e solo successivamente alla verifica del concreto perseguimento del risultato intermedio concordato. Il descritto meccanismo di controllo e verifica dei risultati è stato talmente apprezzato in ambito europeo da venire, con molta probabilità, integrato nel nuovo schema di governance economica. Infatti, il progetto del nuovo Patto di stabilità, ora in via di approvazione, prevede, in caso di sforamento dei soliti parametri (del 3% e del 60%, rispettivamente dei rapporti deficit/PIL e debito/PIL), che lo Stato prenda con la Commissione uno specifico impegno di aggiustamento da garantire su base pluriennale (normalmente di quattro anni, ma può arrivare fino a sette se si propongono riforme e progetti di investimento particolarmente onerosi e meritevoli). Il perseguimento degli obiettivi di risanamento verrà monitorato e, in caso di inadempienza, anziché l’irrogazione di sanzioni monetarie, verranno applicate condizionalità macroeconomiche con la possibilità – similmente a quanto previsto dal PNRR – di sospendere l’erogazione dei futuri fondi europei. È evidente che la sfida che attende il Paese in ambito europeo, per quel che riguarda sia l’attuazione del PNRR sia il rispetto del nuovo Patto di stabilità, richiede un profondo cambio di mentalità, un salto qualitativo nell’agere pubblico. Occorre, quindi, aumentare la nostra capacità di progettazione, di spesa e di bilancio. Proprio in questa prima fase di vita del PNRR sta emergendo un deficit che non è solo di attuazione ma, ancor prima, riguarda la fase di progettazione e verifica della fattibilità non solo normativa ma altresì amministrativa e gestionale della nuova sfida. Oggi nessun risultato può ritenersi precluso ma non vi è dubbio che occorra velocemente cambiare l’approccio nell’esercizio delle diverse funzioni che, a vario titolo (non solo amministrativo ma anche consultivo, di controllo e, con i dovuti distinguo, giurisdizionale), concorrono all’attuazione degli impegni europei, per passare da una visione meramente burocratica/procedimentale ad una gestionale fondata sulla logica della programmazione attenta, del monitoraggio imparziale e del conseguimento tempestivo del risultato.
Di Luigi Caso, componente del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti, già Presidente dell’Associazione dei magistrati e Capo di Gabinetto del Presidente della Corte dei conti