Testo del documento presentato in occasione dell’audizione alla Commissione giustizia della camera dei deputati su decreto giustizia – 15.09.2016
Documento approvato dalla Giunta in data 13.09.2016
I) Premessa
Il decreto legge 31 agosto 2016, n. 168 (in G.U. n. 203 del 31 agosto 2016; in vigore in pari data) – Misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione, per l’efficienza degli uffici giudiziari, nonché per la giustizia amministrativa, contiene due disposizioni (gli artt. 7 e 10 comma 1), che destano seria preoccupazione per gli evidenti profili di incostituzionalità e per la linea di politica giudiziaria intrapresa dal Governo.
II) Profili di incostituzionalità.
Per entrambe le disposizioni, non sussiste una corretta allegazione delle ragioni di straordinaria necessità ed urgenza, per cui non si può non ritenere incostituzionale il provvedimento governativo.
Come noto, il potere normativo spetta in via generale al Parlamento per cui il decreto-legge rappresenta una deroga. Ne discende che va valutata con rigore l’applicazione che il Governo fa di questo suo potere. Non è infatti sufficiente il controllo inevitabilmente politico operato in sede di conversione dalle Camere, in quanto comunque va salvaguardata la legittimità della disciplina delle fonti, essendo tesa anche alla tutela dei valori e dei diritti fondamentali.
Ciò del resto è stato più volte affermato anche dalla Corte costituzionale che è giunta a dichiarare incostituzionali decreti-legge (insieme alle relative leggi di conversione), nonostante l’avvenuta conversione da parte delle Camere, proprio a causa del vizio “originario” di carenza dei requisiti di straordinarietà ed urgenza.
In particolare, va qui osservato che questo decreto-legge n. 168 contiene disposizioni che, per sua espressa previsione, entreranno in vigore solamente alla fine dell’anno o all’inizio dell’anno nuovo. Rispetto al caso di specie, l’art 7 introduce una disposizione in materia di processo telematico, che entrerà in vigore il 1.1.2017; mentre l’art 10 introduce una proroga a decorrere dal 31.12.2016.
Si tratta quindi della controversa e dibattuta – in dottrina – figura del “decreto-legge ad efficacia differita”, la cui compatibilità costituzionale deve essere soggetta ad uno scrutinio ancor più rigoroso. La previsione di posporre nel tempo l’entrata in vigore delle norme introdotte con decreto-legge è, per definizione, ed in radice, incompatibile con il requisito dell’“urgenza del provvedere”: se le disposizioni sono comunque destinate a rimanere inefficaci per un certo periodo, non si vede perché esse debbano essere introdotte immediatamente, con lo strumento eccezionale del decreto-legge, anziché essere varate (e meglio meditate) all’esito dell’ordinario procedimento legislativo parlamentare. L’unica eccezione che – generalmente – si ammette in dottrina per i “decreti-legge ad efficacia differita” si ha quando l’obiettivo avuto di mira dal Governo risulti già di per sé soddisfatto con il mero varo delle nuove disposizioni legislative, anche se destinate ad avere effetti differiti nel tempo. Ad esempio, è il caso di decreti-legge che introducono misure oggetto di forti pressioni di categoria (al limite dei disordini di piazza): in questo caso, pur se l’efficacia delle misure è differita nel tempo, già la sola loro adozione è in grado di accontentare le pressioni “di piazza” e di far rientrare i pericoli per l’ordine pubblico, con conseguente ammissibilità della decretazione d’urgenza. Non può essere ricondotto a questa ipotesi il decreto-legge n. 168!
III) Nel Merito
A) L’art 10 “Proroga degli effetti del trattenimento in servizio di magistrati amministrativi e contabili e avvocati dello Stato”, al comma 1 stabilisce che “Al fine di salvaguardare la funzionalità della giustizia amministrativa e in particolare delle funzioni consultive e giurisdizionali del Consiglio di Stato, le disposizioni dell’articolo 5, comma 1, si applicano anche ai magistrati del Consiglio di Stato nella posizione equivalente ai magistrati ordinari individuati allo stesso articolo 5, comma 1, che non abbiano compiuto il settantesimo anno di età al 31 dicembre 2016”.
Ciò comporta che “gli effetti dell’articolo 1, comma 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, sono ulteriormente differiti al 31 dicembre 2017 per i magistrati che ricoprono funzioni apicali, direttive superiori o direttive presso la Suprema Corte di cassazione e la Procura Generale, i quali non abbiano compiuto il settantaduesimo anno di età alla data del 31 dicembre 2016 e che debbano essere collocati a riposo nel periodo compreso fra la medesima data del 31 dicembre 2016 e il 30 dicembre 2017. Per tutti gli altri magistrati ordinari resta fermo il termine ultimo di permanenza in servizio stabilito dal citato articolo 1, comma 3, del decreto-legge n. 90 del 2014”.
La norma introduce quindi una proroga che permette il pensionamento a 72 anni per i magistrati del consiglio di stato. Al di là di una non chiara identificazione dei destinatari della disposizione (non essendo chiara la “corrispondenza” tra le figure apicali della Corte di Cassazione e quelle del Consiglio di Stato), tuttavia la norma è di scarsa utilità, perché applicabile al massimo a pochissimi (due, forse tre) magistrati attualmente in funzione, ma soprattutto risulta una chiara disposizione ad personam in palese violazione al principio di generalità e astrattezza della legge.
Sul punto non si può non condividere la posizione della giunta esecutiva dell’ANM secondo cui la scelta di prorogare con decretazione d’urgenza, per un altro anno, il trattenimento in servizio solo di alcuni dei magistrati che sarebbero andati in pensione il prossimo dicembre, “produce chiare situazioni di disparità di trattamento, è viziata da profili di illegittimità costituzionale, che saranno certamente fatti valere da chi non beneficerà della norma, e crea, per la prima volta nella storia repubblicana, la distinzione, peraltro decisa dall’Esecutivo, tra magistrati di serie A e magistrati di serie B. Si tratta di un provvedimento che, come tutti gli atti legislativi destinati a pochi, pone in essere un grave vulnus costituzionale”.
Occorre, infine: a) ribadire la necessità che resti omogenea la disciplina “ordinaria” di tutte le magistrature professionali (ordinaria, amministrativa, contabile e militare) rispetto agli istituti caratterizzanti il peculiare status magistratuale e, in particolare, al limite massimo di età per l’espletamento del servizio; b) sottolineare l’opportunità che il limite di età per il servizio acquisisca una certa stabilità in relazione alle ovvie esigenze di programmare le assunzioni in rapporto alle piante organiche e di garantire la certezza delle scelte di vita dei magistrati in servizio.
B) L’art. 7 del decreto, “disposizioni sul processo amministrativo telematico”, al 2° comma, lettera e) introduce l’articolo 13 bis:
«13-bis. Misure transitorie per l’uniforme applicazione del processo amministrativo telematico.
1. Per un periodo di tre anni a decorrere dal 1° gennaio 2017, il collegio di primo grado cui è assegnato il ricorso, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame e vertente sull’interpretazione e l’applicazione delle norme in tema di processo amministrativo telematico ha già dato luogo a significativi contrasti giurisprudenziali rispetto a decisioni di altri tribunali amministrativi regionali o del Consiglio di Stato, tali da incidere in modo rilevante sul diritto di difesa di una parte, con ordinanza emanata su richiesta di parte o d’ufficio e pubblicata in udienza, può chiedere al presidente del tribunale amministrativo regionale o della sezione staccata di appartenenza di sottoporre al presidente del Consiglio di Stato istanza di rimessione del ricorso all’esame dell’adunanza plenaria, contestualmente rinviando la trattazione del giudizio alla prima udienza successiva al sessantesimo giorno dall’udienza in cui è pubblicata l’ordinanza. Il presidente del tribunale o della sezione staccata provvede entro venti giorni dalla richiesta; il silenzio equivale a rigetto. Il presidente del Consiglio di Stato comunica l’accoglimento della richiesta entro trenta giorni dal ricevimento, e in tal caso nell’udienza davanti al tribunale il processo è sospeso fino all’esito della decisione della plenaria. La mancata risposta del presidente del Consiglio di Stato entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta equivale a rigetto. L’adunanza plenaria è calendarizzata non oltre tre mesi dalla richiesta, e decide la sola questione di diritto relativa al processo amministrativo telematico.».
3. Le modifiche introdotte dal presente articolo, nonché quelle disposte dall’articolo 38, comma 1-bis, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, e dall’articolo 20, comma 1-bis, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, hanno efficacia con riguardo ai giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, a far data dal 1° gennaio 2017; ai ricorsi depositati anteriormente a tale data, continuano ad applicarsi, fino all’esaurimento del grado di giudizio nel quale sono pendenti alla data stessa e comunque non oltre il 1° gennaio 2018, le norme vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
La disposizione introduce un sistema di rinvio delle questioni giuridiche che possono sorgere sulla applicazione delle norme del processo telematico, all’Adunanza plenaria, da parte del tribunale di primo grado, in presenza di contrasti giurisprudenziali, con la seguente procedura:
– Una ordinanza emanata su richiesta di parte o d’ufficio e pubblicata in udienza,
– La richiesta al presidente del tribunale amministrativo regionale o della sezione staccata di appartenenza di sottoporre al presidente del Consiglio di Stato istanza di rimessione del ricorso all’esame dell’adunanza plenaria.
– Il presidente del tribunale o della sezione staccata provvede entro venti giorni dalla richiesta; il silenzio equivale a rigetto.
La norma reca un istituto assai atipico che rischia di sottrarre talune questioni alla ordinaria valutazione del giudice di primo grado, per di più attribuendo al Presidente un inaccettabile ruolo di filtro in un sistema incentrato sulla decisione collegiale.
Senza trascurare che, in particolare, l’istituto del silenzio-rigetto riproduce un modulo procedimentale mutuato all’organizzazione degli organi di amministrazione attiva e sottintende un rapporto gerarchico inconfigurabile tra Presidente e Collegio. Di fatto verrebbe “vanificato” il provvedimento collegiale, adottato da più magistrati, in violazione del principio tradizionale; e ciò condurrebbe ad una vera e propria aporia ogniqualvolta a decidere la rimessione alla plenaria fosse la prima Sezione di un Tar, in quanto presieduta dallo stesso Presidente del Tribunale. Questi potrebbe esercitare un potere di veto sulle scelte collegiali in ogni caso in cui si vedesse in minoranza su tale decisione.
L’istituto, dunque, risulta, concettualmente inapplicabile all’interno del processo.
Inoltre, la proposizione “per saltum”, anche per il probabile ‘ingolfamento’ dell’adunanza plenaria, già chiamata a pronunciarsi molto più frequentemente che in passato, rischierebbe di creare un rallentamento nei tempi del giudizio.
IV) Conclusione
L’Associazione Nazionale Magistrati Amministrativi pur riconoscendo che il decreto contiene anche norme che attraverso l’introduzione del processo telematico, garantiranno un miglioramento del processo amministrativo, auspica un immediato ripensamento, nei sensi indicati, nell’interesse dell’intera magistratura e della funzionalità del servizio delle due disposizioni sopra indicate.